Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, quello che è probabilmente il più celebre dipinto di Gustav Klimt, è al centro di un affaire incredibile e romanzesco, che interseca le vicende storiche dell’Europa continentale lungo tutto il XX secolo. La dama ritratta apparteneva alla ricchissima dinastia di industriali di origine ebraica dei Bloch.  I membri di questo clan all’epoca del dipinto erano il cuore dell’alta società viennese.  Ma la figura cardine di tutta la vicenda è rappresentata da Maria Altmann, figlia di Maria Teresa Bauer (1874 – 1961) e Gustav Bloch (1862 – 1938). Vediamo come.

La famiglia nel 1917 mutò il cognome in Bloch-Bauer, acquisendo così anche il cognome materno per esaudire il desiderio del nonno Moritz Bauer, noto imprenditore e banchiere, la cui famiglia era rimasta senza discendenza maschile. Il nonno paterno era David Bloch, un ricco imprenditore. Lasciò agli eredi una grande industria per la raffineria dello zucchero, che copriva i consumi di quattro quinti del paese. Lo zio paterno Ferdinand, che si occupava dell’attività industriale, insieme alla moglie Adele, era collezionista d’arte e mecenate, mentre il padre Gustav era di professione avvocato, ma anch’egli si occupava di musica e di arte. La residenza dello zio Ferdinand, Palais Elisabethenstraß, al centro di Vienna, fungeva da centro catalizzatore per i fratelli Bloch e le sorelle Bauer. Insieme formavano un punto di riferimento culturale sul quale convergevano molti nomi illustri e politici influenti. Il loro salotto era frequentato dai più noti artisti e uomini di cultura dell’epoca, quali Gustav Mahler, Richard Strauss, Arthur Schnitzler, Johannes Brahms, Arnold Schönberg, Otto Wagner e Klimt.

La zia Adele era protettrice e musa di Klimt al quale commissionò diversi quadri, in due dei quali si prestò per altrettanti ritratti. Il più importante è famoso fu eseguito nel 1907. Conosciuto come il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I , fu ribattezzato dai nazisti La donna in oro, per nascondere l’origine ebraica della modella. La figura di Adele si staglia su uno sfondo dorato, finemente cesellato di tasselli colorati. Una fitta decorazione a foglia d’oro avvolge e ricopre tutto il suo corpo. Il collo era impreziosito da una collana costellata di pietre preziose. Maria era molto legata alla zia, che considerava come una seconda mamma, e quando quest’ultima morì di meningite nel 1925 e lei aveva appena nove anni, ne fu molto provata.

Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I
Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, 1907

La persecuzione nazista e la fuga

Nel 1937 la Altmann sposò Frederick “Fritz” Altmann, un giovane cantante lirico, che si occupava dell’azienda tessile del fratello Bernhard. In occasione del matrimonio lo zio Ferdinand le diede come regalo di nozze la collana della zia, immortalata dal dipinto di Klimt. Subito dopo la cerimonia lo zio fuggì, prima nella sua residenza in Cecoslovacchia e poi, con l’incalzare dell’invasione nazista, in Svizzera dove aveva istituito, in una banca svizzera, un fondo fiduciario in cui far confluire tutte le attività industriali della famiglia. Stratagemma che non funzionò perché le autorità svizzere, su pressione del governo austriaco, non protessero gli interessi dei Bloch, che con l’avvento del nazismo persero tutto. I giovani sposi trascorsero la loro luna di miele a Parigi. Quando rientrarono a Vienna, l’Austria, con l’Anschluss del 1938, venne incorporata nella Germania nazista. All’epoca il cognato di Maria, Bernhard Altmann, era un affermato industriale tessile a capo di una azienda che contava più di mille addetti. Prima che la situazione precipitasse aveva deciso di fuggire in Inghilterra, lasciando al fratello la conduzione dell’azienda.

Le speranze di una vita normale furono subito deluse e Fritz, immediatamente arrestato fu rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau. Maria, trasferita dalla Gestapo a Berlino, fu trattenuta a scopo intimidatorio, per costringere il cognato a cedere la sua azienda ad un acquirente ariano. Così anche l’industria tessile di Bernhard subì lo stesso destino degli zuccherifici dello zio Ferdinando Bloch-Bauer, finendo in mani di simpatizzanti del nazismo. Dopo la cessione forzata dell’industria tessile, la Altmann e il coniuge poterono tornare a Vienna dove, tuttavia furono confinati agli arresti domiciliari. Riuscì a trovare un modo per fuggire, ma fu costretta a lasciare i suoi genitori, la sua casa e le sue ricchezze, che nel frattempo erano state confiscate dai nazisti, a causa di un presunto illecito fiscale. I suoi gioielli e quelli di famiglia entrarono a far parte della collezione di Hermann Göring, compresa la famosa collana del ritratto di Adele. Insieme al marito raggiunse con un volo di linea la città di Colonia. Con l’aiuto di un contadino, lungo il letto di un ruscello, riuscì a varcare il confine olandese. Raggiunta l’Inghilterra si stabilì provvisoriamente a Liverpool e successivamente nel 1941 raggiunse gli Stati Uniti dove si stabilì a Los Angeles  nel quartiere di Cheviot Hills.

Il cognato Bernhard Altmann, anche lui trasferitosi fin dal 1939 negli Stati Uniti, aveva dato vita nel 1943 a una piccola attività tessile e nel 1947 introdusse la lana cashmere nel Nord America. Rifondò il suo stabilimento a Vienna e ne aprì uno nuovo nel Texas, divenendo il maggior produttore negli Stati Uniti. Fece partecipe di questa sua attività anche la cognata, invitandola a commercializzare i suoi prodotti in California. La Altmann presentando alcuni degli articoli prodotti da Bernhard, riuscì ad ottenere la vendita esclusiva, attraverso la catena di grandi magazzini per articoli sportivi Kerr’s a Beverly Hills, frequentato da molti personaggi del cinema hollywoodiano. L’iniziativa ebbe un grande successo e la Altmann iniziò la sua attività nel campo dell’abbigliamento, che risultò talmente fiorente da coinvolgere anche il marito. Dopo il 1955, quando il cognato si ritirò dalla sua attività imprenditoriale, il giro d’affari della Altmann si ridimensionò sensibilmente e alla fine si ridusse alla sola gestione della sua boutique a Beverly Hills. La sua vita rientrò nell’alveo di una normale routine con tre figli da crescere e una famiglia da assistere.

Alla fine dei conti, nonostante la perdita delle sua identità culturale e della sua ricchezza, si ritenne fortunata, poiché, a differenza di amici, conoscenti e parenti, era riuscita a sopravvivere alla tragedia delle persecuzioni antisemite. Solo suo padre era morto nel 1938 di crepacuore, mentre la madre era riuscita a mettersi in salvo, subito dopo. Lo zio Ferdinand morì a Zurigo nel 1945, stilando un testamento in cui lasciava i suoi beni in eredità ai nipoti Maria, Louise e Leopold, lascito apparentemente effimero poiché era stato spogliato di tutto. Il suo castello vicino Praga era stato confiscato dai tedeschi, sempre a compensazione del pagamento di presunte tasse arretrate. Divenne poi residenza del gerarca nazista Reinhard Heydrich, conosciuto come il boia di Praga.

Nel 1939 una commissione di ufficiali nazisti, si insediò nel Palais di Elisabethenstraß, per decidere come distribuire l’inestimabile tesoro dei Boch-Bauer. La collezione di dipinti di austriaci del XIX secolo, fu dispersa tra collezionisti privati (tra cui Hitler e Göring), e vari musei. La collezione di porcellane di otre 400 pezzi fu venduta all’asta. I quadri di Klimt dopo diversi passaggi giunsero alla Galleria del Belvedere, che li aveva reclamati, in base alle presunte disposizioni testamentarie che Adele Bloch-Bauer avrebbe rilasciato alla sua morte, avvenuta nel 1925. Tutto il resto, comprendente sculture, gioielli e arredi, fu disperso. La raffineria, con l’assenso delle autorità bancarie elvetiche, fu arianizzata.

Palazzo di Elisabethenstraß
Il Palazzo di Elisabethenstraß

La vicenda giudiziaria in Austria

La Altmann ottenne la cittadinanza statunitense nel 1945. Subito dopo la fine della guerra, qualche timido tentativo di recupero dei beni dello zio fu portato avanti essenzialmente dal fratello Leopold, che viveva con la madre a Vancouver in Canada. Tuttavia quest’ultimo si scontrò con una realtà ostile che interpose un’infinità di cavilli burocratici. In particolare il governo austriaco non volle mai mettere in discussione la validità delle disposizioni che la zia Adele diede al marito prima di morire, nelle quali esprimeva il desiderio di donare alla Galleria del Belvedere i suoi ritratti. Le autorità austriache, però, non vollero mai mostrare agli eredi la documentazione relativa alla presunta donazione e per oltre cinquant’anni tutta la vicenda scivolò nell’oblio e gli eredi Bloch-Bauer, pur non convinti, finirono per rinunciare.

In effetti la zia Adele, che era morta ben prima dell’ascesa dei nazisti, aveva chiesto al marito di lasciare i quadri di Klimt alla Galleria del Belvedere; questo è rimasto a lungo il punto focale della disputa. Infatti il proprietario dei quadri era il marito e si è discusso a lungo se questo desiderio della moglie fosse o meno vincolante per Ferninand Bloch-Bauer, che comunque da tempo aveva perso il possesso dei dipinti a causa della spoliazione nazista. Negli corso degli anni ’90, l’Austria diede inizio a una fase di riconsiderazione del passato nazista. Nel 1998, con l’apporto significativo del partito dei Verdi, il parlamento promulgò una legge che introdusse una maggiore trasparenza nei procedimenti di restituzione delle opere d’arte, trafugate dai nazisti e sottratte alle famiglie ebree. Per la prima volta fu consentito di consultare gli archivi del Ministero della Cultura.

Il Castello del Belvedere a Vienna
Il Castello del Belvedere a Vienna

La nuova legge ha permesso al giornalista investigativo austriaco Hubertus Czernin di scoprire che, contrariamente a quanto era stato generalmente assunto, Ferdinand Bloch-Bauer, dopo la morte della moglie, non aveva mai donato i dipinti al museo statale. Sulla vicenda pubblicò nel 1999 un libro dal titolo significativo: La contraffazione, Il caso Bloch-Bauer e l’opera di Gustav Klimt.

Alla luce della nuova situazione creatasi in Austria, Maria Altmann, che allora aveva 83 anni, decise di tentare il recupero dei dipinti. Si rivolse a dei vecchi amici di famiglia che vivevano a Los Angeles. Il loro figlio aveva da poco intrapreso la professione di avvocato. Si trattava di E. Randol Schönberg, nipote dell’illustre compositore Arnold Schönberg, che, fuggito da Vienna durante l’incalzare del nazismo, aveva trovato riparo negli Stati Uniti.

L’inesperienza del giovane amico non preoccupava la Altmann, che d’altra parte non aveva grandi disponibilità finanziarie, per pagare un professionista affermato. Inoltre riteneva che il grande clamore suscitato dal giornalista Hubertus Czernin avrebbe reso il caso di facile soluzione. Era propensa a raggiungere un compromesso e, rispettando i desideri della zia, era disposta a lasciare i due ritratti che la ritraevano, in cambio degli altri dipinti di Klimt, rappresentanti paesaggi.

La decisione del “Comitato per la restituzione” fu ostile agli eredi Bloch-Bauer. I dipinti sarebbero rimasti proprietà del governo austriaco. Unica concessione fu la riconsegna di 16 bozzetti di Klimt, rappresentanti la zia Adele e 19 set delle porcellane dello zio Ferdinand. L’intransigenza delle autorità austriache la convinsero che l’unica strada da prendere era quella di una azione legale.

Tale strada, tuttavia, risultò impraticabile. La legislazione austriaca, infatti, prevedeva, in caso di processo intentato contro le autorità governative di quel paese, una tassa di deposito da determinare in proporzione al valore dei beni da recuperare. A quel tempo, i cinque dipinti erano stati stimati per un valore di circa 135 milioni di dollari. Cifra che comportava una tassa di alcuni milioni di dollari, assolutamente insostenibile da parte della signora Altmann e la sua famiglia. In una fase successiva il tribunale decise di ridurre la tassa a 400.000 dollari, a cui si sarebbe dovuto aggiungere il controvalore dei bozzetti e della porcellane restituite in precedenza. In caso di insuccesso la Altmann avrebbe dovuto rifondere al governo austriaco 500.000 dollari. Tutti questi ostacoli di origine burocratica rendevano palese la volontà di non voler affrontare un procedimento giudiziario.

La vicenda giudiziaria negli Stati Uniti

Gustav Klimt, Bosco di betulle, 1902
Gustav Klimt, Bosco di betulle, 1902

Alla fine la Altmann decise di rinunciare all’azione legale, viste le enormi difficoltà sollevate dal governo austriaco, che, basandosi su accordi internazionali, riteneva la disputa una questione interna del paese. Fu l’avvocato Schönberg, che casualmente si imbatté, al suo rientro in California, in un catalogo della Galleria del Belvedere commercializzato negli Stati Uniti. Il catalogo, dedicato alle opere di Klimt, citava tutti i quadri contesi dalla famiglia Bloch-Bauer. Questo particolare apparentemente insignificante, permetteva di appellarsi alle eccezioni previste dalla Foreign Sovereign Immunities Act, e portare il contenzioso sotto la giurisdizione dei tribunali americani, bypassando tutti gli ostacoli burocratici interposti dalle autorità austriache.

Nel 2000, la Altmann sostenne questa tesi presso la Corte distrettuale della California che le diede ragione. Il caso Altmann contro Repubblica d’Austria , finì alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che nel 2004 stabilì che l’Austria in questo caso non poteva appellarsi alle regole internazionali sulla immunità degli stati sovrani. Era quindi possibile un procedimento giudiziario sul suolo degli Stati Uniti.

Fu indubbiamente un risultato significativo per la Altman e il suo legale, ma all’epoca l’anziana signora aveva ormai 88 anni ed il tempo non era suo alleato. La sua figura aveva una valenza particolare, in quanto era l’unica persona vivente testimone delle ingiustizie subite dalla sua famiglia ed era la nipote della stessa Adele ritratta nel quadro. Per dirimere la questione, l’avvocato Schönberg propose loro di affidare la questione a un arbitrato da tenersi sul suolo austriaco, composto da tre giudici: due scelti dalle rispettive controparti e uno neutrale.

l Ritratto di Adele Bloch-Bauer Torna ai suoi Legittimi Proprietari

Sia la Altmann che il suo legale, dopo la lunga battaglia erano consapevoli che le possibilità di successo erano contenute, ma con sorpresa, le argomentazione addotte e la forte pressione dell’opinione pubblica internazionale, convinsero il collegio arbitrale, che accolse le tesi esposte dagli eredi Bloch-Bauer. Il 17 gennaio 2006 si espresse per la restituzione dei due ritratti della zia Adele e per la restituzione di tre dei quattro dipinti contesi. La Galleria del Belvedere nel marzo successivo fu costretta alla loro restituzione in modo definitivo e le cinque opere di Klimt furono portate negli Stati Uniti. Per volontà della Altman furono esposte al pubblico nel Los Angeles County Museum of Art dal 4 aprile al 30 giugno 2006.

Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I fu subito dopo acquistato dal miliardario Ronald Lauder per una somma record di 135 milioni di dollari, con la condizione che fosse permanentemente esposto al pubblico. Trovò la sua collocazione nella Neue Galerie di New York City, un museo voluto dallo stesso Lauder insieme al mercante d’arte Serge Sabarsky.

Il museo di Ronal Lauder accolse, sempre per volontà della Altmann anche gli altri quattro dipinti che furono esposti fino al 9 ottobre di quello stesso anno. Alla fine l’8 novembre, questi ultimi sono stati affidati a Christie’s per la vendita.  In totale la Altman realizzò con i cinque dipinti di Klimt lasciategli dallo zio Ferdinand oltre 327 milioni di dollari, che furono divisi tra gli eredi al netto della parcella di E. Randol Schönberg, con i cui proventi realizzò il più grande studio legale specializzato in controversie giudiziarie per il recupero di opere d’arte trafugate dal regime nazista, durante le persecuzioni antiebraiche perpetrate dai nazisti. Maria Altmann, come ebbe lei stessa a dichiarare nel  2007 a un quotidiano britannico, non credeva assolutamente che sarebbe riuscita a recuperare questo grande tesoro. Era ormai convinta, che le autorità austriache non avrebbero mai ceduto. Alla fine il risultato ottenuto andò molto aldilà delle sue aspettative ed insieme agli altri eredi era largamente soddisfatta del risultato ottenuto.

Fu tuttavia risoluta a perseguire tutti i suoi obiettivi, e parallelamente, con l’appoggio dell’avvocato Schönberg, aveva aperto altri contenziosi con le autorità austriache, quelle elvetiche e quelle ceche. Il 13 aprile del 2005 pervenne a un altro importante risultato. Dopo un’istruttoria aperta contro l’operato di una banca svizzera, il cui nome, per riservatezza non fu reso noto, la corte federale di Brooklyn ha fissato un risarcimento a favore degli eredi Bloch-Bauer di 21,8 milioni di dollari. Furono infatti riscontrate gravi irregolarità formali e materiali nella gestione del fondo fiduciario, in cui era confluito lo zuccherificio dello zio Ferdinand. La banca invece di proteggere gli interessi del proprietario, organizzò la vendita ad un imprenditore di Colonia, legato al nazionalsocialismo.

La Altmann morì nel 2011. Non riuscì dunque a vedere l’epilogo delle altre controversie, che però furono portate avanti dagli eredi. Nei confronti delle autorità austriache erano ancora oggetto di contenzioso:

  • La restituzione da parte della Galleria del Belvedere di un altro dipinto di Klimt appartenuto alla famiglia: il Ritratto di Amalie Zuckerkandl (incompiuto, 1917/1918)
  • La restituzione del Palais Elisabethenstraß.

Mentre nei confronti delle autorità ceche, la disputa verteva circa la restituzione del Castello superiore dello zio Ferdinand a Panenské Břežany (Praga).

Subito dopo la sua morte, avvenuta il 7 febbraio 2011, è stata istituita la Maria Altmann Family Foundation, un ente privato di beneficenza. L’economista americano Paul Volcker, che fu uno degli elementi determinati nel movimento di opinione a favore della restituzione, ebbe a dire su di lei : «La forza delle idee genera credibilità e autorevolezza». Con parte del ricavato della vendita riveniente dalle restituzioni, il suo legale ha realizzato una nuova ala del Museo dell’Olocausto di Los Angeles.

Nella grande tragedia della persecuzione degli ebrei d’Europa, il furto di una raffineria o di alcuni quadri fu ben poca cosa e si potrebbe definire una piccola ingiustizia, ma dopo 70 anni, come ebbe a sottolineare l’avvocato Schönberg, «questo è uno dei pochi torti ai quali si è potuto porre rimedio».

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